martedì 31 dicembre 2013

Uccellini invernali









Il pettirosso è un piccolo uccello cantore europeo molto comune. Pur avendo dimensioni ridotte è conosciuto per il suo comportamento spavaldo. È di aspetto paffuto e senza collo. Gli adulti hanno il petto e la fronte colorati di arancio. Il resto del piumaggio è di colore bruno oliva. Ai giovani manca la colorazione arancione e sono fortemente macchiettati. Il comportamento è confidente rispetto all'uomo ed ha attitudini vivaci note a tutti. 







Spesso quando si lavora in giardino e si rigira la terra il pettirosso si avvicina molto all'uomo per ricercare vermi o insetti venuti alla luce. È presente in Italia tutto l'anno, insettivoro, migratore a breve raggio, territoriale anche durante lo svernamento.
I boschi di conifere sono il suo habitat naturale, ma è spesso presente anche in giardini, siepi, boschetti, boschi con sottobosco. Nidifica nei buchi o nelle spaccature di alberi, ai piedi delle siepi, nell'edera o anche in vecchi oggetti lasciati dall'uomo. Il nido ha la forma di una tazza perfettamente rotonda.
Secondo una leggenda il pettirosso si sarebbe insanguinato il petto tentando di rimuovere con il becco la corona di spine che circondava la testa di Gesù Cristo sulla croce. Per questo motivo il petto sarebbe rimasto macchiato di rosso.
Il pettirosso, antico simbolo dell’anno nuovo, è colui che facilita il passaggio dall’inverno alla rinascita. Ecco anche perché una credenza di origine romagnola associa la migrazione dei pettirossi all'arrivo della neve.








Lo scricciolo è un uccello molto piccolo, di forma tonda e lungo appena 10 cm.
Il piumaggio sul dorso, sulle ali e sulla coda è di colore castano; le ali e i fianchi sono anche barrati. L'addome è più chiaro, presenta anch'esso dei piccoli tratti neri. Ha un lungo sopracciglio chiaro.
La coda, corta e appuntita è sempre tenuta ben sollevata. Il becco è piuttosto lungo e sottile. Le zampe sono lunghe e robuste.
Si muove in maniera molto agile, dinamica e scattante.
Una leggenda molto antica e diffusa prevalentemente in Irlanda, è legata al giorno di Santo Stefano (Wren's day in inglese) e racconta che lo scricciolo (in inglese wren) con il suo forte canto rivelò ai soldati romani il rifugio di S. Stefano, che fu catturato e martirizzato. Un tempo l'uccellino veniva sacrificato e appeso ad un ramo di agrifoglio. Oggigiorno al ramo di agrifoglio viene appesa solo un'immagine dell'animale e i ragazzini (detti Wren boys) visitano le abitazioni richiedendo delle offerte.







Il pettirosso e lo scricciolo sono entrambi uccelli venerati nelle mitologia antica. Lo scricciolo era considerato il re degli uccelli nella mitologia greca, e il più furbo tra essi nella mitologia celtica (vedi la storia L’aquila e lo scricciolo:
L'aquila e lo scricciolo stavano verificando chi dei due potesse volare più alto.
 Il vincitore sarebbe divenuto re degli uccelli.
 Lo scricciolo partì per primo, dritto verso il cielo.
 Ma l'aquila lo raggiunse, librandosi agevolmente in grandi cerchi nell'aria.
 Lo scricciolo era stanco, così, appena l’aquila passò, zitto zitto si sistemò sull’ampio dorso dell’aquila.
 Alla fine, l’aquila cominciò a stancarsi.
«Ma dove sei, scricciolo?», gridò.
«Sono qui», rispose lo scricciolo, «solo un po’ più in alto di te».
Fu così che lo scricciolo vinse la gara.)







Nel suo libro La dea bianca, Robert Graves spiega che nella tradizione celtica, la lotta tra le due parti dell’anno, è rappresentata dalla lotta tra il re-agrifoglio (o vischio), che rappresenta l’anno nascente e il re-quercia, che rappresenta l’anno morente. Al solstizio d’inverno il re-agrifoglio vince sul re-quercia, e viceversa per il solstizio d’estate (vedi The Holly King). Nella tradizione orale, una variante di questa lotta è rappresentata dal pettirosso e lo scricciolo, nascosti tra le foglie dei due rispettivi alberi. Lo scricciolo rappresenta l’anno calante, il pettirosso l’anno nuovo.




notizie trovate su :http://www.lefiguredeilibri.com/2010/01/20/la-vera-morte-di-cock-robin-la-simbologia-del-pettirosso/







Philomena





Fra tutte le locandine che ho visto per la promozione di questo film, ho scelto quella che secondo me sa esprimere meglio di ogni altra il messaggio finale che ho tratto dalla pellicola.
Ma procediamo con ordine.

Tratto dal libro " The lost child of Philomena Lee" di Martin Sixsmith, pubblicato nel 2009, il film narra la storia vera di Philomena, un'ingenua adolescente nell'Irlanda degli anni 50', incinta e abbandonata dalla famiglia, costretta a rifugiarsi nel convento delle suore a Roscrea, dove partorisce un bambino che dopo pochi anni le verrà sotratto e dato in adozione.

A distanza di cinquant'anni Philomena non ha ancora perso la speranza di ritrovare quel figlio, di sapere come è stata la sua vita, se conserva qualche ricordo di quel breve lontano periodo trascorso insieme.

Martin è un giornalista rampante, alle prese con un momento critico della sua carriera professionale, costretto ad accantonare il progetto di scrivere un libro sulla storia  russa, per dedicarsi a raccontare una qualsiasi banale storia di vita vissuta.






Occasionalmente i due si incontrano e Martin si ritrova ad usare tutti i trucchi del suo mestiere per aiutare Philomena a rintracciare il figlio, ma soprattutto per raccogliere materiale per scrivere la sua storia vera.



 
 Appreso che il bambino è stato adottato da una famiglia americana, i due si trasferiscono oltreoceano, dove  Philomena troverà tutte le risposte che cercava, o quasi.



Il mio racconto ovviamente si ferma qui per non rovinare la sorpresa a chi non avesse ancora visto il film.

Non è la prima volta che il cinema affronta il tema della separazione forzata tra madre e figlio o cerca in qualche modo di denunciare l'atteggiamento ipocrita di un certo cattolicesimo bigotto che pratica la carità in maniera discutibile, tuttavia nel raccontare questa storia, certamente coinvolgente dal punto di vista emotivo,il regista Stephen Frears non cade nella trappola di uno sdolcinato sentimentalismo e preferisce puntare l'attenzione sul confronto tra due persone che vivono la vicenda  partendo da punti di vista completamente opposti: Martin è un uomo colto, ateo convinto ed ha scarsa fiducia negli esseri umani, mentre Philomena è una donna semplice (il racconto dettagliato che essa stessa fa delle sue letture è una delle cose più simpatiche del film), che, nonostante le sofferenze e le ingiustizie subite, mantiene intatta la sua fede e non confonde Dio con coloro che a volte hanno la pretesa di rappresentarlo.
Alla fine i due si ritroveranno più vicini di quanto si potesse immaginare perchè il loro è l'incontro tra persone che pur mantenendo la propria identità, sanno andare oltre le barriere del pregiudizio.




Judi Dench e Steve Coogan interpretano magistralmente i rispettivi ruoli,affidandosi molto spesso all'intenso linguaggio degli occhi.







La scenografia è stupenda così come la fotografia; la sceneggiatura  è particolarmente brillante ed esilarante nei momenti più leggeri, con tocchi di humour tipicamente inglese, così come appare intensa e coinvolgente nei passaggi drammatici della storia.
Alla fine si esce dalla sala con il cuore tutto sommato leggero, fiduciosi nella forza della speranza e , perchè no, anche del perdono.

lunedì 30 dicembre 2013

Ancora sul vischio


Un anziano barbuto, scalzo e magro per il digiuno, s’arrampica su una possente quercia. Avvolto in una lunga tunica bianca, con un falcetto d’oro in mano s’appresta a tagliare dei rami verdeggianti dalle bacche brillanti che raccoglierà poi in una candida tela, ben attento a non farli cadere a terra.
E’ la pittoresca immagine del Druido – antico sacerdote celtico - che secondo la leggenda alla fine dell’anno va a caccia di foglie di vischio per salutare, con i comandati riti propiziatori, l’inaugurazione di quello a venire.
Tradizionalmente, questo rito si svolgeva il sesto giorno della luna, in occasione della festa che segnava l’inizio dell’anno celtico: un traguardo simbolicamente importante, perché indicava la morte della vegetazione. Il vischio, invece, caparbio e orgoglioso, non solo restava tenacemente verde ma proprio in quel periodo gettava dei frutti deliziosi di cui erano particolarmente ghiotti i tordi i quali, cibandosene avidamente, ne disperdevano i semi ovunque. Così, in una stagione sterile, il vischio emergeva come l’unica specie resistente, in grado di propagare la sua vitalità a dispetto del freddo e dell’inospitalità del terreno.






Simbolicamente la pianta del vischio rappresenta, perciò, il carattere indistruttibile della vita vegetale, l’ininterrotta rigenerazione, la ciclicità dell’esistenza. Da qui il significato del suo nome, che in celtico indica “colui che guarisce tutto”. In effetti, sempre secondo le leggende, il vischio comunicava i suoi poteri vitali a chi ne consumava l’acqua in cui era lasciato a macerare, trasmettendo forza e vigore.
Come spesso la storia ha dimostrato, le leggende celano alcune verità. I Druidi deducevano il potere del vischio innanzitutto dal suo aspetto: essendo una pianta saprofita, cresceva sfruttando il fusto di altri alberi. Di conseguenza, essendo aerea e priva di radici proprie, era considerata manifestazione degli dei che vivono in cielo senza sfiorare il suolo. Toccare l'umana terra avrebbe comportato per la pianta la perdita d’ogni potere, per questo la raccolta doveva essere protetta da un telo bianco. Anche la fattezza delle bacche, perlacee, lattiginose e brillanti nel buio, hanno contribuito alla fama magica del vischio, suggerendone il nome di “Pianta della Luna”.





E’ sintomatico che i Druidi scegliessero esclusivamente il vischio nato sulle querce, dato che in realtà era molto più facile trovarlo su meli, peri, pini silvestri e pioppi. Secondo Plinio, la scelta derivava dal simbolismo legato alla quercia, che era l’albero del dio dei cieli e della folgore, meritevole perciò di profonda venerazione. Il vischio, nel cantone svizzero di Argau, era persino considerato la “scopa del fulmine”, perché si credeva cadesse insieme alla folgore e chi ne avesse bevuto l’essenza, la linfa vitale, si sarebbe impossessato dello stesso vigore.
Al di là delle suggestioni magiche, qualcosa di fondato c’è. E’ significativo che all’estremità opposta del globo, nel nord del Giappone, esiste una comunità – quella degli Ainu – che tutt’oggi attribuisce al vischio poteri terapeutici. Pare che la pianta curi l’epilessia e renda feconde le donne sterili e il bestiame. A pensarci bene, l’analogia tra la natura del vischio e le sue presunte proprietà è potente: la sua propagazione operata dagli uccelli si allaccia simbolicamente al seme maschile e alla fecondazione; mentre la sua natura aerea giustifica il potere di guarire l’epilessia, detta “mal di terra” poiché la crisi epilettica si manifesta con una brusca caduta a terra e, come s’è visto, il vischio non deve mai toccare il suolo.
Un’altra leggenda lega il vischio alla dea anglosassone Frigga, sposa del dio Odino e protettrice degli innamorati. Dalle sue lacrime sgorgate per la morte del figlio Baldr nacquero le bellissime bacche perlate del vischio e quando magicamente Baldr riprese vita, la dea ringraziò chiunque passasse sotto l'albero con un dolce bacio. 

Questa è una delle versioni, riprese anche dal Cristianesimo, che spiegherebbe l’attuale usanza di baciarsi sotto un ramo di vischio la notte di San Silvestro. Ancora una volta, la realtà pare sposarsi felicemente con il simbolismo arcaico: dal nome “vischio” deriva l’aggettivo “vischioso” per indicare quella consistenza scioglievole, densa e persistente che collega due superfici aderenti. Espressa in maniera più poetica e piacevole, questa caratteristica effettivamente tipica delle bacche di vischio, potrebbe alludere all’attrazione amorosa e a quel magico bacio scambiato dalle tumide labbra di due innamorati l’ultima notte dell’anno.





A questo punto l’immaginazione può tutto, soprattutto quando si parla d’Amore: i fragorosi fuochi artificiali di capodanno si trasformeranno in beneauguranti folgori divine, mandate dal Cielo sulla Terra a suggellare le tacite promesse di due esseri umani amorosamente abbracciati sotto l’aura complice della Pianta della Luna(Trovato qui: http://paolacerana.blogspot.it/2012/12/il-bacio-e-la-pianta-della-luna.html)

C'era una volta una bambola

" Tutto era freddo e buio dentro il sarcofago e l'acqua del fiume penetrava dal coperchio goccia a goccia, portando con sé i semi di piante acquatiche  che attecchivano, germogliavano e riempivano lo spazio angusto con grandi foglie e lunghi tralci.
Ma alla bambola di tutto questo poco importava, finchè poteva vegliare il sonno della sua padroncina, la giovane Crepereia Tryphaena, morta prematuramente all'età di soli18 anni. Eppure lei era una bambola speciale, fatta di purissimo avorio, con un viso finemente scolpito, gli arti snodati, l'articolazione di gomiti e ginocchia, mani, piedi e unghie create con perizia artigianale senza confronti."

Quella che vi sto raccontando sembra una storia di fantasia e invece è una storia vera, la storia di una bambola vissuta duemila anni fa.
Nel 1889, durante i lavori per la costruzione del Palazzo di Giustizia a Roma, venne alla luce il sarcofago di una giovane donna morta prematuramente, dal nome CrepereiaTryphaena, come inciso nel marmo. Gli esperti collocarono il reperto tombale intorno al 170 d.C.

All'interno il teschio appariva stranamente coperto da una folta e lunga capigliatura; in realtà si trattava di foglie e rami di una pianta acquatica che aveva messo radici, indisturbata.
Accanto allo scheletro furono trovati orecchini, spille, anelli e una corona di mirto con un fermaglio d'argento al centro, segno che la defunta apparteneva a una famiglia aristocratica.

Ma la scoperta più sorprendente fu la bambola trovata accanto allo scheletro, alta ventitré centimetri,  in avorio annerito dal tempo tanto da apparire scuro come legno d'ebano.
I suoi capelli raccolti in sei trecce e poi girati intorno al capo, ricordano le acconciature delle giovani spose all'epoca degli Antonini, nel secondo secolo d.C.



Mai s'era vista una bambola costruita con tanta abilità e precisione : le braccia si collegano al corpo con dei perni, così come le gambe al bacino. La bambola è snodabile esattamente come la moderna Barbie.




La sua presenza nella tomba , così come il mirto, fanno pensare che la giovane Crepereia Tryphaena sia morta poco prima di sposarsi. Infatti era usanza che la sposa donasse i giocattoli della sua infanzia a Venere alla vigilia delle nozze ma, se moriva prima, gli oggetti l'avrebbero seguita nella tomba.

Chissà quale mistero si cela in questa vicenda e chissà quante altre rimarranno sconosciute per sempre...
Per ora non ci resta che pensare a tutte quelle generazioni di bambini e bambine che hanno sognato, desiderato e amato i loro giocattoli più cari, in una lunga storia infinita.

domenica 29 dicembre 2013

Il pettirosso


Abbiamo parlato di scriccioli e di pettirossi, gli uccellini che rappresentano la fine dell'anno vecchio e la nascita di quello nuovo...e allora ecco una storiella scritta da Jolanda Colombini Monti e illustrata da Mariapia, con la solita levità poetica.
Questo pettirosso, che trema per il freddo vien voglia di portarselo a casa e di infilargli un golfino!
































































The big kahuna - il monologo

La fine dell'anno è , come ben si sa, tempo di bilanci, magri purtroppo per questo 2013 , economicamente parlando, e non solo. Le prospettive, le promesse, le proiezioni per il futuro non appaiono rosee, soprattutto per i giovani che hanno tutta la vita davanti e il diritto di sognare, di immaginare, di credere in un domani migliore.

Difficile trovare le parole per incoraggiarli, inutile cercare le bugie per ingannarli, acrobatico infondere in loro iniezioni di speranza...

Parlavo di questo con i miei figli quando mi è tornato in mente il monologo di Denny De Vito da The Big Kahuna, un film del 1999 diretto da John Swanbeck, tratto da una commedia teatrale di Roger Rueff che ne ha curato anche la sceneggiatura. La pellicola ha come protagonisti Kevin Spacey, Danny De Vito e Peter Facinelli.





La trama è semplice: in una stanza d'albergo di una cittadina del Kansas, nel Midwest , tre venditori di lubrificanti industriali sono in attesa di incontrare alcuni clienti, per poter concludere un affare che possa risollevare le sorti della società per cui lavorano. I tre sono molto diversi tra loro: Larry e Phil sono i "vecchi" mentre Bob è nuovo del mestiere. Nell'attesa i tre parlano della vita, del lavoro, delle donne e di sè stessi, trasformando la stanza d'albergo in una sorta di palcoscenico teatrale.







Del film è rimasto famoso il monologo che segue, con cui Danny De Vito, il veterano, si rivolge al giovane collega, illustrando la sua "lezione di vita":



Goditi potere e bellezza della tua gioventù.
Non ci pensare.
Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite.
Ma credimi tra vent'anni guarderai quelle tue vecchie foto
e in un modo che non puoi immaginare adesso.
Quante possibilità avevi di fronte e che aspetto magnifico avevi!
Non eri per niente grasso come ti sembrava.

Non preoccuparti del futuro
oppure preoccupati,ma sapendo che questo ti aiuta
quanto masticare un chewing-gum
per risolvere un'equazione algebrica.
I veri problemi della vita saranno sicuramente cose
che non ti sono mai passate per la mente
di quelle che ti pigliano di sorpresa 
alle quattro di un pigro martedi pomeriggio.

Fa' una cosa ogni volta che sei spaventato.
Canta.
Non esser crudele con il cuore degli altri.
Non tollerare la gente che è crudele col tuo.
Lavati i denti.
Non perder tempo con l'invidia.
A volte sei in testa.
A volte resti indietro.
La corsa è lunga e alla fine è solo con te stesso.

Ricorda i complimenti che ricevi,scordati gli insulti.
Se ci riesci veramente, dimmi come si fa.
Conserva tutte le vecchie lettere d'amore, butta i vecchi estratti conto.

Rilassati.
Non sentirti in colpa se non sai cosa fare della tua vita.
Le persone più interessanti che conosco, 
a vent'anni non sapevano che fare della loro vita.
I quarantenni più interessanti che conosco,
ancora non lo sanno.

Prendi molto calcio.
Sii gentile con le tue ginocchia,
quando saranno partite ti mancheranno.
Forse ti sposerai o forse no.
Forse avrai figli o forse no.
Forse divolzierai a quarant'anni.
Forse ballerai con lei al settancinquesimo anniversario di matrimonio.
Comunque vada
non congratularti troppo con te stesso,
ma non rimproverarti neanche.
Le tue scelte sono scommesse,
come quelle di chiunque altro.

Goditi il tuo corpo.
Usalo in tutti i modi che puoi,
senza paura e senza temere quel che pensa la gente.
E' lo strumento più bello che potrai mai avere.

Balla
anche se il solo posto che hai per farlo
è il tuo soggiorno.
Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai.
Non leggere le riviste di bellezza.
Ti faranno solo sentire orrendo.
Cerca di conoscere i tuoi genitori.
Non puoi sapere quando se no andranno per sempre.
Tratta bene i tuoi fratelli.
Sono il miglior legame con il passato
e quelli che più probabilmente avranno cura di te in futuro. 
Renditi conto che gli amici vanno e vengono.
ma alcuni, i più preziosi , rimarranno.

Datti da fare per colmare le distanze geografiche
e di stili di vita
perchè più diventi vecchio
più hai bisogno delle persone che conoscevi da giovane.

Vivi a New York per un po', 
ma lasciala prima che ti indurisca.
Vivi anche in California per un po',
ma lasciala prima che ti rammolisca.
Non fare pasticci coi capelli,
se no quando avrai quarant'anni 
sembreranno di un ottantacinquenne.

Sii cauto nell'accettare consigli,
ma sii paziente con chi li dispensa.
I consigli sono una forma di nostalgia.
Dispensarli è un modo per ripescarli dal dimenticatoio,
ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte
 e riciclarlo per più di quel che valga.

Ma accetta il consiglio...per questa volta.


Comunque la vogliamo mettere, quel che è certo è che vivere è il mestiere più difficile del mondo e ,ancor di più, è insegnarlo.




































DD

sabato 28 dicembre 2013

Se avessi la bacchetta.....





Se avessi una bacchetta magica.....è un pensiero che, credo, abbiamo fatto tutti qualche volta.
Cosa farei? Un sacco di cose! Oppure, forse, una sola: basterebbe chiedere di essere SEMPRE felice e così un solo desiderio sarebbe sufficiente per stare sempre bene e allora la bacchetta la potrei regalare a qualcun altro.... 
Certamente chiederei le cose ovvie, che tutti vorremmo, anche quando non ci impegniamo per realizzarle: eliminazione di tutte le malattie, pace nel mondo, cibo per tutti, lavoro in abbondanza,  amore per ogni persona, cure affettuose per i bambini, rispetto fra gli individui e per la natura, tempo libero per godere delle piccole cose, apprezzamento quello che si ha, realizzazione di se stessi...insomma tutto quello che renderebbe il mondo un luogo migliore per l'umanità.






Meno in generale, vorrei salute, serenità e gioia per i miei cari....
Per me stessa cosa desidero? Mi piacerebbe realizzare qualche piccolo sogno per cui ci vorrebbe davvero una bacchetta magica.
Per esempio, mi piacerebbe:

Saper scrivere libri come quelli che amo leggere










Saper suonare il pianoforte e cantare a voce spiegata, senza stonature













Saper fare con le mani tutti quei lavoretti che mi incantano, quando li vedo realizzati da altri





Saper disegnare e avere inventiva






Essere una brava padrona di casa





















Saper coltivare piante e fiori senza vederli inesorabilmente appassire











Riuscire a leggere e interiorizzare tanti libri che mi sono sfuggiti














Vedere paesi e popoli diversi, in posti lontanissimi









Saper ballare e "sentire" la musica









Saper nuotare e, già che ci siamo, praticare diversi sport


















Capire come funziona questo dannato pc, che amo e odio e che ogni tanto mi fa disperare